UNA RIBELLE DEL PUNK ROCK TORNA IN CHIESA

UNA RIBELLE DEL PUNK ROCK TORNA IN CHIESA

Immagine: Tom Kubik

Ero incastrata tra “spirituale ma non religiosa” e “dilettante New Age” quando la depressione mi gettò tra le braccia di Dio.

Sono sempre stata una persona malinconica. Fin da bambina ho sofferto di attacchi di depressione misti a stati d’ansia prima ancora di sapere cosa significassero quelle parole. Dall’infanzia in poi ero perennemente sopraffatta dall’insonnia e poi non volevo alzarmi la mattina. Non volevo prendermi cura di me. Non volevo andare a scuola.

Ma andai in chiesa almeno fino a quando decisi di non andarci più.

Ero una “cristiano di nascita”, cresciuta con lezioni della scuola domenicale e con libri illustrati di Mosè che galleggiava nel cesto tra le canne e Maria, Giuseppe e Gesù bambino nella mangiatoia impolverata.

La Vigilia di Natale significava servizi a lume di candela e il resto dell’anno era scandito da esibizioni di gruppi giovanili di musical cristiani.

Frequentavo lo studio biblico dopo la scuola e in estate il nostro insegnante ci portava a raduni dove avrei vinto palline di caramelle recitando correttamente i versetti delle Scritture.

I miei ricordi della chiesa erano sempre profondi: il profumo inebriante dei gigli sull’altare pasquale, rami di pino e cera di candele a Natale.

Quando ascoltavo i vari cantici era come sentire una mano che mi avvolgeva il cuore in un abbraccio amorevole. Leggendo i vari racconti di Mosè ogni volta, il mio momento preferito era quando trattenevo superstiziosamente il respiro mentre lo spettrale Angelo della Morte attraversava il cielo, aggirandosi tra le case con il sangue di agnello dipinto sull’architrave.

Nel frattempo, l’oscurità continuava ad insinuarsi dentro di me. La mia depressione, ancora senza nome, si approfondì man mano che crescevo. Mi interessava meno la chiesa e con l’adolescenza, la depressione, il sarcasmo e il cinismo erano diventati la mia santa trinità.

Il punk rock, e tutto ciò che girava intorno ad esso mi hanno aiutato a costruire un’immagine esteriore della rabbia e dell’oscurità emotiva che fremeva ogni giorno dentro di me.

A 17 anni ho abbandonato le superiori e mi sono trasferita nell’East Village di New York City, dove la cosa più vicina a una chiesa è stato indossare il mio trench leopardato da negozio dell’usato e incontrare i miei amici sulle panchine di Tompkins Square Park per scambiare due chiacchiere o fumare le mezze sigarette trovate a terra.

L’immersione nel paganesimo, mi ha dato la zavorra necessaria per una vita già alla deriva: ho assistito ad un’affascinante esaltazione della natura, del misticismo e del potere sacro femminile.

Lo yoga mi piaceva, ma la filosofia New Age sembrava autoindulgente e stranamente pretenziosa. Così ho deciso di essere un’agnostica agitata, incastrata da qualche parte tra “spirituale ma non religiosa” e “dilettante New Age”.

Ma questo non mi diede una risposta duratura al problema di convivere con una depressione costante. Mi sono trasferita sulla costa occidentale, mi sono sposata e ho iniziato a lavorare come scrittrice tra periodi oscuri che mi hanno congelato nel blocco dello scrittore per settimane di seguito.

Poi alcuni anni fa, fui come rapita da un incantesimo depressivo, che mi intrappolò in maniera tale da farmi barcollare sull’orlo del suicidio.

Anche con gli impegni di una vita piena e felice – marito, famiglia, salute, carriera – mi sentivo disperata, sola, sporca e inutile.

Nel momento in cui toccai il fondo, ho chiesto a Dio un segno che la mia vita significasse qualcosa, e Dio rispose al mio grido. 

Sono tornata in chiesa con cautela, mantenendo basse le mie aspettative. Sarebbe stato tutto come mi ricordavo? Sarebbe stato un velato richiamo al conformismo? Sarebbe stato tutto una perdita di tempo?

Quello che ho scoperto è stato come “un ammorbidente per la mia anima”: qualcosa di ruvido e ostinato dentro di me è stato addolcito.

Gli insegnamenti biblici, mi hanno aiutato a esaminare la mia depressione con cura deliberata e senza pregiudizio.

Mi è piaciuto molto sentire come Dio non solo ci redime ma ci incoraggia: pensa a Ebrei 13:6 “Così noi possiamo dire con piena fiducia: Il Signore è il mio aiuto; non temerò.”

Per tutta la vita ho lottato per la guarigione, in una forma o nell’altra.

Ma si è scoperto che ciò di cui avevo bisogno era la gentilezza. Smettere di spronarmi con un’autovalutazione negativa che rasentava l’abuso. Dio mi ha aiutato a rilassarmi.

Essere stata restaurata per grazia, è un grande conforto, che mi ha portato all’accettazione di sé alla resilienza. Un posto dove rifugiarmi o semplicemente sedersi, respirare ed essere.

Niente mi ha aiutato a riprendermi più del ricevere la grazia di Dio .  

Attraverso la fede in Cristo, mi sento meno sola, ho meno vergogna e sono e meno propensa a nascondere la mia sofferenza.

Perché so Dio è presente nella mia vita e mi ascolta. Deporre il proprio fardello è fondamentale per la fede cristiana quanto la carità o la testimonianza.

Quando sei stato in piedi da solo per così tanto tempo, cadere nelle Sue braccia misericordiose all’inizio è spaventoso, ma poi arriva una brezza di benedetto sollievo che sfida ogni umana spiegazione.

Che meraviglia, dopo essere rimasta seduta da sola al buio per così tanto tempo, sapere che Dio ti vede, ti conosce e ti tiene in braccio.

I dubbi sull’esistenza di Dio somigliano molto ai dubbi sull’esistenza della depressione: entrambi sono radicati nella convinzione che le cose devono essere viste per crederci.

Tuttavia, come ha osservato una volta l’amata scrittrice Madeleine L’Engle, “alcune cose devono essere credute per essere viste”.

I miei occhi ora sono aperti: “ero cieco ma ora vedo”, e sto osservando le cose con una pace e una profondità che non ho mai sperimentato prima.

Tutti noi abbiamo un posto a cui appartenere. Siamo amati. E per mezzo di Cristo siamo redenti.

Tratto da: christianitytoday.com

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